El mät
Al matto bastava la strada principale del piccolo paese.
Andava e veniva, tra i negozietti e la chiesa, tra quei tre bar e la cabina del telefono.
Con la tuta blu, sempre pulita, chè il matto ancora aveva una mamma che lo curava.
Una signora piccola, triste e sola: per quel figlio picchiato in testa s'illuminava e riusciva a sorridere, a sorridere di un amore che non ha mai avuto cedimenti, mai mancanze, mai sofferenze.
E gli puliva le tute, l'unica cosa, estate, inverno, che metteva: con le scarpe da ginnastica, sotto un giubbetto come non se ne vedono più.
Lì tutti lo salutavano, ormai d'abitudine, perchè anche ai matti ci si fa l'abitudine, come al giornale o come a non avere nulla da dire.
Qualche spicciolo, una piccola spesa, e a chi importa se mancano cinque centesimi: il matto sorride, ascolta la sua musica di continuo, la musica della sua testa, nella sua testa.
Quando faceva più caldo, si sedeva al tavolino del bar, ma non ordinava mai nulla: ci pensava il Franco a portargli un the al limone, fresco, e chi se ne frega se non paga.
Oppure all'ombra del campanile, guardando verso le colline e il castello, perso; chissà se pensava, se solo osservava, se provava a capire la malinconia.
E quando c'era la neve sempre su e giù, immutabile la sua passeggiata, immutabile il corpo di un bambino troppo vecchio.
Fino a ieri.
Adesso i suoi occhi non ridono più.
Io li ricordo, quegli occhi: c'era dentro tutto il bene del mondo, quello che nello sguardo di tante persone non c'è più.
Da molto tempo.
Al matto bastava la strada principale del piccolo paese.
Andava e veniva, tra i negozietti e la chiesa, tra quei tre bar e la cabina del telefono.
Con la tuta blu, sempre pulita, chè il matto ancora aveva una mamma che lo curava.
Una signora piccola, triste e sola: per quel figlio picchiato in testa s'illuminava e riusciva a sorridere, a sorridere di un amore che non ha mai avuto cedimenti, mai mancanze, mai sofferenze.
E gli puliva le tute, l'unica cosa, estate, inverno, che metteva: con le scarpe da ginnastica, sotto un giubbetto come non se ne vedono più.
Lì tutti lo salutavano, ormai d'abitudine, perchè anche ai matti ci si fa l'abitudine, come al giornale o come a non avere nulla da dire.
Qualche spicciolo, una piccola spesa, e a chi importa se mancano cinque centesimi: il matto sorride, ascolta la sua musica di continuo, la musica della sua testa, nella sua testa.
Quando faceva più caldo, si sedeva al tavolino del bar, ma non ordinava mai nulla: ci pensava il Franco a portargli un the al limone, fresco, e chi se ne frega se non paga.
Oppure all'ombra del campanile, guardando verso le colline e il castello, perso; chissà se pensava, se solo osservava, se provava a capire la malinconia.
E quando c'era la neve sempre su e giù, immutabile la sua passeggiata, immutabile il corpo di un bambino troppo vecchio.
Fino a ieri.
Adesso i suoi occhi non ridono più.
Io li ricordo, quegli occhi: c'era dentro tutto il bene del mondo, quello che nello sguardo di tante persone non c'è più.
Da molto tempo.
un abbraccio al Matto (secondo me i matti siamo noi...)
RispondiEliminabaciuz Eli
intanto ciao, e ora ti leggo
RispondiElimina:-)
sei così caro, ti voglio bene Daniele
proprio oggi che è una giornata di merda...
c.
forse perché avevano dentro innocenza?
RispondiEliminac.
un abbraccio, anche per tutti i matti del mondo, che ogni paesino ne ha uno, e se lo cura, mentre le citta lo schivano e li umiliano e non hanno più posto per loro... e fra un po' non avranno più posto nemmeno per noi.
be' anche io
RispondiEliminadirei bella dentro :)
Io, forse, neanche quello. Mi sa che mi considerano un pò bastardo. Orso, senz'altro.
RispondiEliminaDaniele
si si, i matti siete voi? mi han perisno mandato affanculo " a me e a Prodi". Figurrrrati!
RispondiEliminaHai scritto una cosa bellissima, di getto con tutto il cuore. Ti abbraccio. Patrizia.
RispondiEliminahomincontratonmunntroll di nmerda cg'ìhebsapendio che sono dpressa, con vari pronlemi, mi ha insultaìtata, ha mressoinduvvio cheio facessi la comedia per attirarmi simpatie, mi ha ha dato della memtecatta, del a èsicotica della zocccola, edella matta e della scema e nonostante i miei y'tentativi di ifìgnorarlo, continua èerchàùè, parole sue, gli sono antipaticai0o io dopo sver cercato di ignorarlo, ma avrei da dire sulla pedrona del blog dobe tutto wurstoè+ sicceso, penso ch mi cbronzerò,cioè esattamente quello che non dovrei fare coi farmaco che prendo, e me ne andrò a dormire. che ltro sfogo vuoi che abbia? pianger' sentirmi sola come un cane, nache se sola in effettti non sono? io vorrei rendere a questi stonzo il male che lòui sta facendo a me, ma come faccio? sono io la ppiù debolr... scusa gli errori, ma fra prosecco e lacrime non ci vedi più
RispondiEliminac.
Destino: stavo scrivendo un altro tipo di commento quando mi sono accordo che in sottofondo c'era il Matto di De Andrè.
RispondiEliminariferito al primo commento ( i matti siamo noi ): confermavo, era battuta. il resto sottintendeva il fattoi che durante la propaganda elettorale mi son preso di vaffanculo, ma oggi una pazza mi ci ha mandato insieme a PRODI: pazzesco!
RispondiEliminaProprio perché di getto, è vera e bella.
RispondiEliminaLi amiamo sempre tutti, sono un piccola parte di noi... io poi abito in una città famosa per i matti e ne porto nick...
RispondiEliminatrovi la petite traduction che volevi da me
bello :)
RispondiEliminaun saluto
luca
io ho lavorato con i matti. e questo post mi ha commosso.
RispondiEliminaAndrea
Io al matto gliel'avevo detto di non scendere in campo...
RispondiEliminaperlomeno è stato un matto amato...lo dicevano anche i suoi occhi no?
RispondiEliminaCome Andrea, ho lavorato con i matti, dentro un manicomio, non quello di smemorato :))
RispondiEliminaGrazie Daniele, sei riuscito a trattare l'argomento teneramente, senza far scricchiolare i denti con facili sdolcinature.
Buona serata :)))
Siamo in molti qui ad aver lavorato con "i matti"... mi aggiungo. I miei matti avevano quel sapore di vita che tu hai ben descritto... Si, un giro a suon di vino, certo...
RispondiEliminaporca miseria, mi hai commosso! non provarci mai più!
RispondiEliminasveglia ma ora volo a nanna che ieri sera ho fatto troooooppo tardi!
RispondiEliminabuonanotte...
Che delicato questo scritto: complimenti, Macca, m'è piaciuto un sacco.
RispondiEliminaE poi hai ricordato una situazione che, è vero, forse esiste sempre meno: ovvero quella delle piccole comunità
che fanno calore, intorno alla diversità,
e, per le povere vittime di malattia, era il rimando ad una vita dai contorni umani.
E questo c'è sempre meno, purtroppo.
C'è un bellissimo testo di un poeta friulano di cui ora non mi viene in mente il nome (non è Biagio Marin) che racconta di un matto che in un manicomio si chiude nella sua stanza e sogna di volare nello spazio, finchè i medici non entrano e gli fanno smettere il sogno in modo brutto, molto brutto, ma non ve lo racconto tutto.
RispondiEliminaRicordo che questo testo lo recitava Marco Paolini (un grandissimo) nel tour fatto coi Mercanti di Liquore.
Non ho parole, quando leggevo della mamma e delle tute poi ...
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