L'eco di Torino
Di “classe operaia” è meglio non parlare più, evitando di porre, ancora una volta, la questione d'etichetta, ove questa rappresenta un ostacolo alla comprensione di quei fenomeni lavorativi che appaiono e scompaiono ciclicamente.
Di altra portata, probabilmente, è il dissenso che muove, senza stupore, un'altra volta dalle grandi fabbriche del Nord.
Dei fischi di “Mirafiori” dovrebbe far tesoro tutta una parte politica del Governo, che dimostrerebbe, perlomeno, attenzione verso chi parla “dal basso”, ma orgogliosamente (ed obbligatoriamente) in piedi.
Se lo scollamento tra FIOM e CGIL è un fatto quasi privato, inglobato in un percorso di scontro dialettico e politico tutto interno alla più grande organizzazione Sindacale italiana, l'incomprensione sulla finanziaria e sul TFR è ben più ampia.
Ultimo dei tanti colpi inferti ad un tentativo di risollevamento della nostra bilancia dei pagamenti, quello di Torino arriva da più lontano, dall'accettazione di quel ponderoso programma nato per ridisegnare (utopia?) l'intero Paese.
Forse troppo presto si chiede di saldare un conto ancora aperto, che dà credito ad un'ipotesi ardita e difficilissima: un'impazienza dettata dall'urgenza dell'instabilità lavorativa e sociale continua che i ceti più deboli stanno subendo.
Se il tripudio di bandiere rosse del 4 Novembre stava a significare vicinanza ed attenzione a coloro che il lavoro lo vivono come una perenne ansia sul filo del nulla, il dissenso degli operai “garantiti” sta lì a pretendere, dopo aver dato, e molto.
Il centro vitale pare non essersi spostato, se le grida vengono ancora una volta dalla gente da 1000€ al mese, quella categoria vituperata e che infastidisce, vista come un ostacolo al benessere fittizio e inverosimile delle categorie più “alte” (saranno questi i famosi “fannulloni”?).
Tra tutti gli aggiustamenti in “corso d'opera” che giornalmente si fanno su questa finanziaria, c'è una questione politica che si trascina e che va risolta immediatamente, pena il ritiro della fiducia da parte dei cittadini, degli elettori del centro-sinistra.
Sembra quasi impossibile pensare che la culla della lotta su e per il lavoro, la fabbrica, si stia rivoltando contro il suo stesso simbolismo.
Ma sarebbe abbastanza sciocco non intravedere, in questo, un timbro politico ben preciso ed articolato.
Ancora una volta, forse l'ultima, l'uomo “qualunque” chiede di scrivere una parte del cammino Italiano, con pochissime certezze, molti dubbi e ancora non sufficienti garanzie in tasca.
Di “classe operaia” è meglio non parlare più, evitando di porre, ancora una volta, la questione d'etichetta, ove questa rappresenta un ostacolo alla comprensione di quei fenomeni lavorativi che appaiono e scompaiono ciclicamente.
Di altra portata, probabilmente, è il dissenso che muove, senza stupore, un'altra volta dalle grandi fabbriche del Nord.
Dei fischi di “Mirafiori” dovrebbe far tesoro tutta una parte politica del Governo, che dimostrerebbe, perlomeno, attenzione verso chi parla “dal basso”, ma orgogliosamente (ed obbligatoriamente) in piedi.
Se lo scollamento tra FIOM e CGIL è un fatto quasi privato, inglobato in un percorso di scontro dialettico e politico tutto interno alla più grande organizzazione Sindacale italiana, l'incomprensione sulla finanziaria e sul TFR è ben più ampia.
Ultimo dei tanti colpi inferti ad un tentativo di risollevamento della nostra bilancia dei pagamenti, quello di Torino arriva da più lontano, dall'accettazione di quel ponderoso programma nato per ridisegnare (utopia?) l'intero Paese.
Forse troppo presto si chiede di saldare un conto ancora aperto, che dà credito ad un'ipotesi ardita e difficilissima: un'impazienza dettata dall'urgenza dell'instabilità lavorativa e sociale continua che i ceti più deboli stanno subendo.
Se il tripudio di bandiere rosse del 4 Novembre stava a significare vicinanza ed attenzione a coloro che il lavoro lo vivono come una perenne ansia sul filo del nulla, il dissenso degli operai “garantiti” sta lì a pretendere, dopo aver dato, e molto.
Il centro vitale pare non essersi spostato, se le grida vengono ancora una volta dalla gente da 1000€ al mese, quella categoria vituperata e che infastidisce, vista come un ostacolo al benessere fittizio e inverosimile delle categorie più “alte” (saranno questi i famosi “fannulloni”?).
Tra tutti gli aggiustamenti in “corso d'opera” che giornalmente si fanno su questa finanziaria, c'è una questione politica che si trascina e che va risolta immediatamente, pena il ritiro della fiducia da parte dei cittadini, degli elettori del centro-sinistra.
Sembra quasi impossibile pensare che la culla della lotta su e per il lavoro, la fabbrica, si stia rivoltando contro il suo stesso simbolismo.
Ma sarebbe abbastanza sciocco non intravedere, in questo, un timbro politico ben preciso ed articolato.
Ancora una volta, forse l'ultima, l'uomo “qualunque” chiede di scrivere una parte del cammino Italiano, con pochissime certezze, molti dubbi e ancora non sufficienti garanzie in tasca.
Mettila a questo modo.. chi non mi ama.... :) Non ti vogliono? Troverai di meglio!
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