Il sole di Luigi


Non c'è clamore, quando se ne va uno qualsiasi: una persona, di quelle che si dicono normali, se muore, finisce sulla pagina dei defunti, con tre righe. Un po' meglio se ha famiglia.
Luigi famiglia non ce l'aveva, mai avuta. Non si era sposato, non aveva abbandonato figli in giro per il paese, e, che si ricordi, non era stato fidanzato. Si sa, i vecchi hanno buona memoria per certe cose: guerre e morose.
In tutti gli anni in cui aveva lavorato al mulino, Luigi non era mai stato assente: il “padrone”, il vecchio Andrea e poi suo figlio Antonio, dicevano che era “casa e mulino, mulino e casa”. Ogni tanto, ma poco, per la media di quelle parti, lo trovavi in osteria, dopo che aveva finito le sue mansioni: un rosso, uno solo, due parole, due sole, e poi via.
Anche per questo qualcuno lo guardava storto: mai niente fuori posto, un neo, qualcosa che non andasse. Insomma, se non passavi al mulino per la farina o per qualche veleno da topi, di Luigi non ti saresti ricordato.

La guerra mangia le menti, corrode le persone, fa a pezzi le convinzioni e brucia anche l'anima. Luigi aveva vissuto lontano, la guerra: tutta la trafila, la Grecia, l'Albania, l'Africa. E poi di nuovo a casa, smarrito come tanti, un guerriero straccione che voleva solo rivedere il suo paese. Dove non c'era nessuno ad aspettarlo, dove nessuno chiedeva di Lui, se non quando, nei discorsi alcoolici del dopocena, ci si chiedeva che fine potesse aver fatto. Solo, tornò: solo rimise in piedi la sua casa, lentamente ed in silenzio. Ogni tanto, più per pietà che per vero affetto, la Tina, la mia nonna, gli portava un po' di stufato ed un bicchiere di vino, rosso, per forza. C'era un reciproco rispetto, che veniva dal sapere cosa vuol dire la guerra, quella vera, non quella dei giornali: il nonno non era tornato dalla Russia, non aveva avuto una strada da percorrere all'indietro. Con la Tina, Luigi era più ciarliero: il che voleva dire che sapeva parlare per più di trenta secondi. Ed in quell'uomo, con lo sguardo triste ed un po' sognante, forse la Tina vedeva qualcosa anche del nonno, e stava a sentire, annuendo, anche Lei di poche parole.

Quando Luigi è morto, la Tina mi ha raccontato una cosa: Lei diceva un segreto, ma, adesso che ci penso, forse era uno di quei misteri personali che, poi, sanno tutti. Luigi, prima di tornare, era andato in Yugoslavia, e questo lo sapeva solo la Tina. Mi chiedevo che segreto fosse: era un crimine? Era un posto dal quale stare lontani? C'era andato per una donna. Ecco, questo sì: il Luigi e una donna. Più che mistero, stupore. Mi disse, la Tina che l'aveva conosciuta profuga, vicino al Trieste, scappata dalla sua guerra, chè ogni guerra è diversa, perchè diversi sono gli occhi con cui la si guarda. Per quello che poteva l'aveva aiutata: la Tina mi sussurrava che Luigi la descriveva come “...una bella ragazza, mora, fiera e che ricordava come si sorride”. Aveva brigato con il suo Comandante per farla tornare da suo padre, che era rimasto ad aspettare i figli, rintanato in qualche grotta, dentro a qualche bosco. Luigi non aveva più niente da fare nell'esercito, niente più per cui combattere: forse non l'aveva mai avuto, lo aveva fatto e basta, come faceva ogni giorno il suo lavoro, sempre, in silenzio e senza storia. L'avrebbe portata Lui, indietro. Il suo comandante gli aveva dato un lasciapassare, un pezzo di carta che probabilmente non valeva nulla: anzi, sicuramente. Avevano rischiato la pelle, davvero: ci misero sei mesi a ritrovare il vecchio. La ragazza era l'unica viva di tutta la famiglia: fratelli, sorelle, madre, nessuno era scampato al flagello. Luigi, disse la Tina, gli aveva anche confidato, anzi gli aveva fatto capire, che lui l'amava. Si era fermato a ricostruire la casa della ragazza, probabilmente perdendosi nel suo sorriso e nella fierezza di quella gente. Ma un giorno, qualsiasi come sono i giorni che squadernano le vite, era tornato l'uomo, di quella ragazza. Un uomo di cui Lei non aveva mai parlato: forse, dentro, in fondo al suo animo, sperava che fosse perduto, come migliaia d'altri.

Per Luigi era un peso insostenibile: lui e l'uomo si erano stretti la mano, ma si capiva che non poteva rimanere. La Tina mi disse che quando diceva che era arrivato al paese “...come un ladro, che non dovrebbe tornare mai” era perchè era tornato senza di Lei, il suo tesoro, la speranza di una vita. Non mi disse se, nel tempo che trascorrevano insieme, sull'aia, gli avesse parlato mai di rimpianti o ricordi dolorosi.
Mi confidò solo che, quando veniva il tramonto, ed accendeva di rosso l'Ovest, Luigi guardava ad est, da dove il sole sorge.
Nel suo sogno, la donna faceva lo stesso, ancora, come Lui.
Ogni giorno, forse, il sole sorgeva solo per loro due.

Commenti

  1. Probabilmente è l'età :)) sono sempre più interessata alle storie delle persone e sempre più commuovibile.

    Bella storia e ben raccontata.

    Grazie Daniele.

    Vado ad ascoltarmi East of the sun, west of the moon :)))

    Baci

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  2. grazie ancora Daniele.

    I racconti a volte possono vestire così bene delle storie così ricche di valore e di uomini così ricchi di storia, la guerra, l'emigrazione, la terra...

    Sembra di vedere il Luigi, la Tina e la "confidenza" che ti ha fatto.

    La scrittura che si fa musica, la memoria che si forgia nella poesia per lasciarci un granello, segno della storia.

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  3. Daniele, alcuni dei tuoi post sono poesia in prosa. Sai parlare degli uomini, tu. Grande.

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  4. mi hai commosso col tuo racconto di Luigi del suo amore "impossibile" e così terribilmente romantico... in quel modo così strano e struggente come sanno essere solo le storie che restano sospese, inconcluse, finite ma che non finiscono mai dentro i cuori...e della nonna Tina, anche lei rimasta sola con il ricordo del nonno...sei davvero bravo daniè

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  5. Avere tante cose da fare è anche pensare a poche altre. Perciò continua così...

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