Topi
Uscivamo solo di notte. La nostra era la vita dei topi, di topi che non conoscono più la luce del sole, né il passare delle nuvole. Se pioveva era pioggia notturna, senza la speranza dell'arcobaleno. Voglio dire che ci si dimentica anche del giorno, poco a poco. Dapprima le strade da percorrere erano un labirinto, certe notti non riuscivamo a trovare nulla. Pensavamo di ricordare dov'era quel tal negozio, o dove c'era una volta un bar, un caffè. Magari seguivamo le tracce dei tavolini rovesciati, sedie spezzate, buchi sui muri. Perchè quando erano passati, i primi erano stati gli avventori dei locali, a cadere. Ma di notte tutto cambia: la geografia dei vicoli e delle viuzze si perde in un groviglio inesplicabile, come se le pieghe della tua mano diventassero cicatrici e le dita si perdessero a seguirle. C'è voluta pazienza ed una Santa fame per diventare bravi. Adesso lo siamo: siamo addestrati, veloci, furtivi, la schiena non ci fa più male se stiamo piegati, correndo. Solo pochi soldati hanno gli occhiali che vedono nel buio: un mio compagno, una volta, mi ha detto che costano troppo e li fanno usare solo a quelli bravi sul serio, quelli che non si addormentano, che godono nello sparare anche di notte. Ci sono poche mercanzie rimaste sugli scaffali: diventiamo sempre di più, i topi si moltiplicano, si sa. E' una lotta, uno contro uno. Appena usciamo dal buco ognuno va per la sua strada, quello che si trova si divide. Da noi nessuno fa il furbo e nessuno nasconde nulla agli altri: Capo lo beccherebbe subito, gli pianterebbe il suo coltello tra le costole, lo sappiamo tutti. Era uno come me; un topo piccolo, adesso ha i baffi più lunghi di tutti e sa sempre tutto, sa di tutti. Perchè anche dove è sempre buio arriva qualche notizia: più che altro ci si chiede quando finirà lo strazio, quando non ci sarà più da temere, quando potremo tornare a tenere la schiena dritta. Intanto continuiamo ad andare sempre più in là. Poco tempo fa mi sono trovato quasi in periferia: correndo, tutto passa intorno confuso, spalmato, liscio, scuro. In periferia c'è meno concorrenza: lì si sentono ancora i cannoni, ci sono bengala e raffiche di mitra. E' più facile farla franca: un cecchino difficilmente sbaglia, e quelli ce li teniamo noi, al centro, è il nostro lusso. I bar di periferia sono più piccoli, ma hanno quasi tutti una botola per la cantina. Se c'è ancora il lucchetto va bene, sennò rischi di trovarci dentro altri topi e di finire con una palla in testa, dopo il primo gradini. Quasi sempre sono solo quando arrivo fin qui, gli altri topi si accontentano, io no. Sono stufo di vodka e biscotti, voglio altro. Capo mi dice che sono cazzi miei, non è una balia Lui. Ha ragione: neanche mi ricordo l'ultimo che si è preoccupato per me, forse era mio padre, ma mio padre non tornerà, nessuno può strigliarmi. Quando trovavo un po' di carne, me la mangiavo cruda, lì per lì, e portavo scatolette, lattine. Così andavano le cose, così si doveva fare. Continuavamo a guardare gli orologi che ancora funzionavano: erano quelli del Capo, lui ne ha tanti, vengono dai morti. A quell'ora si usciva, a quell'ora si tornava: bisognava solo stare attenti a non perdere la conta dei giorni, perchè l'alba viene prima o dopo, a seconda dei mesi. Ho passato due anni da topo, due anni di buio. Mi ricordo ogni giorno, ogni strada, ogni pallottola che mi ha sfiorato una gamba, la testa, il braccio. Mi ricordo tutto benissimo, fino a ieri. Ieri Capo ha detto che è tutto finito, che da oggi si potrà tornare fuori, di giorno. Io non so cosa ci sia più, là fuori, ma per sicurezza, nella mia ultima notte da topo, ho preso un paio di occhiali da sole al cadavere di un soldato, che ho visto mille volte, a cui sono passato accanto fino a quando non puzzava neanche più. Perchè spero che oggi ci sia tanta luce, tanta.
Uscivamo solo di notte. La nostra era la vita dei topi, di topi che non conoscono più la luce del sole, né il passare delle nuvole. Se pioveva era pioggia notturna, senza la speranza dell'arcobaleno. Voglio dire che ci si dimentica anche del giorno, poco a poco. Dapprima le strade da percorrere erano un labirinto, certe notti non riuscivamo a trovare nulla. Pensavamo di ricordare dov'era quel tal negozio, o dove c'era una volta un bar, un caffè. Magari seguivamo le tracce dei tavolini rovesciati, sedie spezzate, buchi sui muri. Perchè quando erano passati, i primi erano stati gli avventori dei locali, a cadere. Ma di notte tutto cambia: la geografia dei vicoli e delle viuzze si perde in un groviglio inesplicabile, come se le pieghe della tua mano diventassero cicatrici e le dita si perdessero a seguirle. C'è voluta pazienza ed una Santa fame per diventare bravi. Adesso lo siamo: siamo addestrati, veloci, furtivi, la schiena non ci fa più male se stiamo piegati, correndo. Solo pochi soldati hanno gli occhiali che vedono nel buio: un mio compagno, una volta, mi ha detto che costano troppo e li fanno usare solo a quelli bravi sul serio, quelli che non si addormentano, che godono nello sparare anche di notte. Ci sono poche mercanzie rimaste sugli scaffali: diventiamo sempre di più, i topi si moltiplicano, si sa. E' una lotta, uno contro uno. Appena usciamo dal buco ognuno va per la sua strada, quello che si trova si divide. Da noi nessuno fa il furbo e nessuno nasconde nulla agli altri: Capo lo beccherebbe subito, gli pianterebbe il suo coltello tra le costole, lo sappiamo tutti. Era uno come me; un topo piccolo, adesso ha i baffi più lunghi di tutti e sa sempre tutto, sa di tutti. Perchè anche dove è sempre buio arriva qualche notizia: più che altro ci si chiede quando finirà lo strazio, quando non ci sarà più da temere, quando potremo tornare a tenere la schiena dritta. Intanto continuiamo ad andare sempre più in là. Poco tempo fa mi sono trovato quasi in periferia: correndo, tutto passa intorno confuso, spalmato, liscio, scuro. In periferia c'è meno concorrenza: lì si sentono ancora i cannoni, ci sono bengala e raffiche di mitra. E' più facile farla franca: un cecchino difficilmente sbaglia, e quelli ce li teniamo noi, al centro, è il nostro lusso. I bar di periferia sono più piccoli, ma hanno quasi tutti una botola per la cantina. Se c'è ancora il lucchetto va bene, sennò rischi di trovarci dentro altri topi e di finire con una palla in testa, dopo il primo gradini. Quasi sempre sono solo quando arrivo fin qui, gli altri topi si accontentano, io no. Sono stufo di vodka e biscotti, voglio altro. Capo mi dice che sono cazzi miei, non è una balia Lui. Ha ragione: neanche mi ricordo l'ultimo che si è preoccupato per me, forse era mio padre, ma mio padre non tornerà, nessuno può strigliarmi. Quando trovavo un po' di carne, me la mangiavo cruda, lì per lì, e portavo scatolette, lattine. Così andavano le cose, così si doveva fare. Continuavamo a guardare gli orologi che ancora funzionavano: erano quelli del Capo, lui ne ha tanti, vengono dai morti. A quell'ora si usciva, a quell'ora si tornava: bisognava solo stare attenti a non perdere la conta dei giorni, perchè l'alba viene prima o dopo, a seconda dei mesi. Ho passato due anni da topo, due anni di buio. Mi ricordo ogni giorno, ogni strada, ogni pallottola che mi ha sfiorato una gamba, la testa, il braccio. Mi ricordo tutto benissimo, fino a ieri. Ieri Capo ha detto che è tutto finito, che da oggi si potrà tornare fuori, di giorno. Io non so cosa ci sia più, là fuori, ma per sicurezza, nella mia ultima notte da topo, ho preso un paio di occhiali da sole al cadavere di un soldato, che ho visto mille volte, a cui sono passato accanto fino a quando non puzzava neanche più. Perchè spero che oggi ci sia tanta luce, tanta.
so solo che insieme a scarafaggi, che credo abbiano raggiunto il grado perfetto di evoluzione, i topi sono, con gli umani, le creature che meglio in natura si sanno adattare a ciascuna circostanza. Il che sarà lusinghiero per i topi (che nella versioni topini campagnoli mi fanno tenerezza, mentre in quella ratti mi fanno solo schifo e pensare alla leptospirosi che spappola i reni della gente...), ma decisamente meno per gli umani...
RispondiEliminawe only come out at night
RispondiEliminawe only come out at night
the days are much too bright
we only come out at night
[avv + billy corgan]
Caro Daniele, quei versi che ho scritto sono forse belli, ma li avrò pensati per poche ore. Non li cancello solo per non cancellare i tuoi commenti e e quelli d'altri. Volevo dirtelo, lo devo a mio padre.
RispondiElimina"Era uno come me; un topo piccolo, adesso ha i baffi più lunghi di tutti e sa sempre tutto, sa di tutti. Perchè anche dove è sempre buio arriva qualche notizia..."
RispondiEliminaDaniele, questa frase sul capetto fa venire un dubbio: è la metafora del faticosissimo lavoro fatto di turni disumani in fabbrica?
...come topi in trappola...
RispondiEliminaora, per favore, staccatemi il telefono, imbavagliate gli scocciatori, fermate tutto, che questo post me lo voglio rileggere, e rileggere e ancora rileggere.
RispondiEliminagrazie.
Come lapardaflora disse qualche commento fa anche io ritengo che i topi abbiano qualcosa di quello spirito umano nell'adattarsi.
RispondiEliminaCerto il loro è un vivere piuttosto depurato dalle nostre scorie di animismi e metafore ma l'accostamento nel tuo racconto rende alla perfezione il desiderio di vivere organizzando l'esistenza un passo alla volta.
Notevole.
Sono stato un topo anche io. E in parte lo sono ancora...
RispondiEliminaUn abbraccio.
Kafkahigh