Dirty Work
E allora crescita sia. Meno del previsto, o del possibile, ma l'economia va, di nuovo. Siccome, però, quando le cose vanno meglio (non bene, meglio), bisogna cercare sempre quello che non funziona, facciamolo. C'è un bel dire che in Italia si lavora poco, che bisogna essere più flessibili. Il primo fatto, che si lavora di meno degli altri, è una storiella che non sta in piedi. Dati alla mano, siamo quelli che lavoriamo più ore di tutti, in Europa: meno degli Americani, questo sì. Se flessibile vuol dire lavorare di più, allora dobbiamo guardare anche alla produttività. La nostra è più bassa del resto d'Europa (non parliamo degli USA, che ci danno davvero un distacco abissale), non perchè, appunto lavoriamo poco, ma perchè produciamo male. Quello che un lavoratore produce, in un'ora, in un altro Paese del nostro Continente, noi lo facciamo in tre ore. Perchè le industrie sono vecchie, piccole e spesso non hanno mai investito né in tecnologia, né in formazione. Ecco, allora, che dire che la ripresa è merito tutto delle Imprese, mi pare un eccesso. Di sicuro, come al solito, gli Imprenditori si metteranno in tasca molto di quello che produrrà questa ripresa, ma quanto re-investiranno? Quanto andrà ad incrementare una flessibilità ragionata, che porti un miglioramento delle condizioni di lavoro (anche con ore in più, mica sarebbe un delitto) e degli strumenti per ottenere prodotti più competitivi? Forse la risposta non sta in una delle tante aule Convegni dei grandi Alberghi sparsi qua e là...
(Lo so, è una palla di post, ma ho lavorato stanotte. Abbiate bontà...).
E allora crescita sia. Meno del previsto, o del possibile, ma l'economia va, di nuovo. Siccome, però, quando le cose vanno meglio (non bene, meglio), bisogna cercare sempre quello che non funziona, facciamolo. C'è un bel dire che in Italia si lavora poco, che bisogna essere più flessibili. Il primo fatto, che si lavora di meno degli altri, è una storiella che non sta in piedi. Dati alla mano, siamo quelli che lavoriamo più ore di tutti, in Europa: meno degli Americani, questo sì. Se flessibile vuol dire lavorare di più, allora dobbiamo guardare anche alla produttività. La nostra è più bassa del resto d'Europa (non parliamo degli USA, che ci danno davvero un distacco abissale), non perchè, appunto lavoriamo poco, ma perchè produciamo male. Quello che un lavoratore produce, in un'ora, in un altro Paese del nostro Continente, noi lo facciamo in tre ore. Perchè le industrie sono vecchie, piccole e spesso non hanno mai investito né in tecnologia, né in formazione. Ecco, allora, che dire che la ripresa è merito tutto delle Imprese, mi pare un eccesso. Di sicuro, come al solito, gli Imprenditori si metteranno in tasca molto di quello che produrrà questa ripresa, ma quanto re-investiranno? Quanto andrà ad incrementare una flessibilità ragionata, che porti un miglioramento delle condizioni di lavoro (anche con ore in più, mica sarebbe un delitto) e degli strumenti per ottenere prodotti più competitivi? Forse la risposta non sta in una delle tante aule Convegni dei grandi Alberghi sparsi qua e là...
(Lo so, è una palla di post, ma ho lavorato stanotte. Abbiate bontà...).
Massimo rispetto per chi lavora la notte...
RispondiEliminaPer il resto, quando sento parlare di crescita... penso sempre che sia a discapito nostro. Sarà una deformazione?
Se ti sente Montezemolo ti mena!
RispondiEliminaUn saluto.
Tocchi un tasto dolente. Secondo me è figlio di una cultura macroeuropea del tipo il sud non conta nulla. Cultura insita anche in Italia sin dalla sua unificazione(Gli imprenditori del mezzogiorno venivano definiti, a giusto titolo, degli schiavisti perché non reinvestivano il capitale). Ora quello che dici tu è da Gian Battista Vico! Corsi e ricorsi storici. Vuoi che aggiunga altro? In italia uno studente universitario ha una formazione peggiore ma deve sudare 10 camicie in più(tra docenti,organizzazioni e burocrazie) per prendersi una laurea che vale come quelle che puoi scaricare da internet, cioè 0. Noi lavoriamo molto è vero, flessibili anzi flessibilissimi quasi quasi ci spezziamo, ma senza politiche per il lavoro basate su studi sul settore e non sulle richieste delle varie caste compresa quella operaia non si può andare avanti. A tutto questo si aggiunge una dirigenza economico/politica che molto spesso parla ma non attua un bel niente. Quando poi un'azienda esce dal Trend delle altre viene emarginata o acquistata dalle multinazionali. Tu fai il confronto con l'America, per esperienza posso dirti che lì tutto è più duro ma se lavori vieni ripagato, il TFR l'hanno risolto decenni fa, l'industria si autofinanzia la ricerca e la formazione(come MARX ci insegna se si vuol competere con paesi tecnologicamente avanzati bisogna aumentare la propria risorsa tecnologica). Un lavoratore è invogliato a lavorare esistono gli incentivi. Da noi intere categorie non hanno incentivi, anzi solo i dirigenti li hanno X_X. Potrei scrivere ancora fiumi e fiumi ma finché l'Italia non si spoglierà del suo conservatorismo e della sua mentalità piccolo-borghese saremo destinati a farci annettere (come è sempre stato) da un altro stato per sopravvivere(magari la svizzera X_X)
RispondiEliminaGrazie a tutti.
RispondiEliminaDomani, sonno permettendo, vengo a risponderVi.
:-)
Daniele
Nessuno parla dei lavoratori e anche dei loro meriti. Giulia
RispondiEliminaHo due cose che mi vengono in mente, leggendoti. Per un po' di anni ho avuto, come cliente, fra gli altri, anche la filiale italiana di una multinazionale americana, dove il capitale erano le risorse umane (in pratica, tutti laureati commercialisti, quindi parliamo di professionisti, mi rendo conto); come politica dell'azienda, si incoraggiavano molto gli scambi tra sedi, anche perché paradossalmente, la sede di Milano aveva una varietà di attività molto più ampia che non quella di una grossa città americana come New York, per esempio, soprattutto relativamente al diritto economico internazionale.
RispondiEliminaEbbene, tutti gli americani coi quali mi è capitato di parlare rispetto al loro inserimento, alle differenze di metodo di lavoro etc, dicevano, nell'ordine:
che speravano proprio di restare in Italia e non tornare negli Usa;
che gli italiani *appaiono* più caotici perché spesso, anziché seguire pedissequamente le prassi, sanno trovare soluzioni alternative più creative, e sovente anche migliori;
che gli italiani, pur essendo molto più socievoli e disponibili all'amicizia, anche fuori dal lavoro, (mentre ciò in America è impensabile: tutti nel loro loculetto, buon giorno e buona sera, senza neppure un sorriso, e l'essere colleghi finiva lì!) e quindi creano un ambiente apparentemente più rilassato, ma lavorano e producono esattamente come i colleghi americani, con la differenza che lavorare qui è meno arido.
E questa è la prima considerazione, rispetto a Italia e America.
La seconda è, almeno per la mia esperienza, che spesso l'Italia, che comunque è un Paese che vive soprattutto di piccolo-media imprenditoria( e per Asso Lombarda, media imprenditoria viaggia sui 3/400 dipendenti, se non ricordo male...non proprio realtà microscopiche), sovente paga lo scotto di una scarsa e cattiva cultura imprenditoriale, che da una parte blocca la crescita di aziende che potrebbero benissimo farlo ( è il caso molto diffuso dell'Emilia Romagna, per esempio, dove parte l'azienda familiare, si ingrandisce sino a un certo punto e poi si blocca, magari sulla soglia del divenire SPA e quindi potendo attingere a nuov capitali, reinvestire, crescere etc), e dall'altra ha troppi imprenditori, che sanno generare profitto solo se con trucchetti tipo facilitazioni (se non frodi) fiscali, fabbrichette fino a pochi anni fa in paesi dell'Est Europa, ora in Oriente, dove il costo del lavoro equivale a una pipa di tabacco, etc, e credo che ci siamo capiti.
A parte il fatto che sarei stufa di pagare le tasse anche per qualcun'altro (che appena scopro chi è, vedi tu che sorpresona gli faccio! due sganassoni...)
>:))
ciao e buona giornata, sonno permettendo.
Quanto a Mook, conosco l'università di trent'anni fa, e conosco quella attuale, e non sono molto d'accordo con quanto afferma.
RispondiEliminaNon c'è confronto fra quello che si studiava e quello che si studia oggi: una volta, metà degli studenti che oggi passano agli esami, sarebbe stato cacciato a pedate!
Sul valore del titolo di studio, posso essere d'accordo - è anche vero che mediamente il livello qualitativo della preparazione è sconfortante. - e lo dico perché ho una certa esperienza, per esempio, di colloqui di lavoro e selezione di curricula per ricerca posto di lavoro da parte di laureati, che nella maggior parte dei casi non sanno neppure scrivere un curriculum vitae et studiorum come si deve, e neppure in italiano corretto...e la lingua madre la studiano dall'età di sei anni: figuriamoci come sanno il resto!