Orfano di paesaggi
In una vecchia intervista, lo scrittore Luigi Meneghello affermava “...che siamo orfani di parole e paesaggi”.
Questa sua frase mi ha portato, immediatamente, a trovare in me una sorta di malinconia invernale che ho percepito forte e conosciuta.
Nonostante fossi in un bar chiassoso e fumoso, nel centro della città, lo sguardo mi è andato oltre, a superare il limite delle case e delle periferie, fino a dove ci si confonde con la campagna, dove realmente il paesaggio muta.
In quella sottile striscia tra il clamore e una vita che sa, purtroppo, di passato, realmente si sente questa mancanza, questo essere spaesati.
Tutte le strade che ho percorso, negli anni, tra i filari di alberi contorti, le roggie, i campi brulli o pieni di grano, tornano a ricordarmi il loro sapore, quello dell'infanzia.
Ho avuto fortuna, perchè c'erano ancora queste cose.
Poco era stato mangiato dalle strade, da questi inni pagani al Dio macchina: poco rumore,s entore di un qualcosa immobile nel tempo e dal tempo eroso, nello stesso istante.
L'aia, l'acqua, l'orto, i fratelli di scorribande,l e piccole bestiole ed i gatti.
Può starci tutto questo in una frase su di un giornale, può fermarsi un attimo ed allungarsi fino all'oggi, fino al cambiamento.
Sentirsi abbandonati quasi per dovere, perchè qualcun'altro ce lo ha ricordato, che valore può avere?
Se non ci ho pensato fino ad ora...
Eppure davvero mi basta così poco, anche per correre fino ad oltre il fiume, quello che mi ha separato da un'estate afosa e piena, carica, di umori più adulti, dell'Amore (la cosa che permea sempre e comunque).
Mi piace, è vero, ripensare all'ombra di quell'albero dove giocavi anche tu bimba come me, lontana.
Non si può mai sapere chi si incrocerà nel cammino che porta ad incontrarsi.
I tuoi occhi luminosi e scuri hanno fatto di me un uomo, mi hanno portato ridendo verso le anse del fiume, verso i boschi ardui delle montagne.
Allora sì che mi sento orfano, mi sento perduto in questa sera fredda ed umida, spietata come possono essere solo i ricordi, quelle cose che mi separano sempre dall'essere migliore.
I compagni di viaggio delle parole, anche quelle svanite.
Peter Blake, "The Fine Art Bit", 1959, Tate Modern Collection, London.
Commenti
Quanti paesaggi abbiamo perso, quanti ne ritroviamo, quanti appaiono oramai tanto lontani dalla società.
RispondiEliminaIo sto scoprendo, ad esempio, le vecchie cascine nelle campagne della bassa padana. Cosa che per me, cresciuto a Napoli, era cosa da libri di scuola e basta. Sto così scoprendo nuovi paesaggi, nuove atmosfere. Che sanno di antico, e che viene voglia di proteggere.
Il paesaggio non è una quinta da teatro che si può tirare via senza che dalla scena strappino via anche noi, diceva qualcuno che sappiamo. :-)
RispondiEliminaImparare a leggerlo e salvarne in qualche modo - uno qualsiasi, come fate qui voi: scriverne o esplorarlo - anche solo una minuscola parte è già immensamente prezioso di per sé: dà il segno di quello che era e la misura di quel che sarà.
Grazie per questo angolo di memoria, Dani, così intimo e limpido.
Nus mancjin visuâls e peraulis
RispondiEliminamarum des zornadis di Invier
fuart e cognossût
ancje intune ostarie scjassose
tal centri de citât
o cjali lontan, vie pe perifarie
fin dulà che si messede cu la campagne
in chê piçule strissule di davoi
o sint il gno jessi cence paîs
stradis, stroncjis di cjamp
liniis di lens ingropâts
rois, cjamps pustots
o semenâts a forment
tornin a impensâmi chel nulôr
chel di cuant che o jeri frut
chê fortune tocjade cun man
di vê cognossût chei savôrs
E pûr mi è vonde tant pôc
ancje par cori fin stradilà dal flum
chel che mi à dividût da une Istât scjafoiose
cjariade di umôrs di grancj di amôr
che al jemple simpri e tant e tant
mi plâs, al è vêr, tornâ te ombrene di chel len
là che tu zuiavis frute cun me, lontane
no si po savê cui che si incrosarà
tal troi che al puarte a tornâ a cjatâsi
i toi voi lusints e neris a àn fat di me un om
mi àn menât ridint tes voltis dal flum
tal scûr dai boscs faturôs des monts
Alore sì che mi sint vuarfin
pierdût in cheste sere di caligo frêt
cence pietât parie dai ricuarts
chei scjalins che mi slontanin
dal jessi miôr di ce che o sei
compagns di viaç des peraulis
ancje chês sfantadis
@ Eus: va là, si sa chi è quella brava.
RispondiElimina@ Furlan: io non so come ringraziarti per questi tuoi regali.
Vorrei che tu sapessi quanto è bello, importante, leggere le mie parole in Lingua.
E' sentirsi un pò meno orfano...
Dan
Continuo a ripeterlo: c'è molta poesia in te, davvero! Ti ho sentito, non cominciare a lamentarti!!! Accetta di essere ringraziato per aver resuscitato questi "attimi" sepolti in ognuno di noi ed averli resi dolcemente malinconici. Personalmente, trovo che i ricordi siano lo stimolo migliore a dare sempre il meglio di se'. Grazie, Gemellone!!!
RispondiEliminapassato a chiedere il tuo parere (se ti va)sul post di oggi,l'invito è estevo ai tuoi visitatori, ciao.
RispondiEliminaGli alberi si estendono verso l’alto tanto quanto lo fanno verso il basso, attraverso le loro radici. Le seconde sono nascoste alla nostra vista: e cosi’ noi non ci pensiamo, che con la nostra smania di guardare avanti senza mai voltarci indietro, abbiamo perduto la possibilita’ di andare solidamente e intelligentemente verso l’alto.
RispondiEliminaCosi’ restiamo tutti ammassati. Ammassati e soli.
Soli senza i nostri paesaggi pacificanti, senza gli alberi saggi da cui imparare, e senza piu’ le nostre radici da cui poter attingere il futuro.
Gabriele
@ Gabriele: grazie, come sempre.
RispondiEliminaDan
@ Gabriele: grazie, come sempre.
RispondiEliminaDan
@ Gabriele: grazie, come sempre.
RispondiEliminaDan
Quanta verità in quelle parole che hai citato,ma quanto saggezza in quel che dici nella tua riflessione. Fortunatamente io vivo in una città ove non siamo ancora orfani di parole e paesaggi, circoscritti in una realtà ancora a misura d'uomo, dove il chiacchierare con il fruttivendolo sotto casa, rappresenta un modo per godere degli sprazzi di nevi sugli alberi di fronte e, fra un chilo di arance invendute, andare al bar di fianco a bere una cioccolata insieme.
RispondiEliminaUn caro saluto.
Carmen
mai dimenticarci della natura...
RispondiEliminae del fatto che noi facciamo parte
dell'universo :-)
è stata una fortuna, essere nati in tempo: prima che i paesaggi avessero dentro in senso del perso
RispondiEliminaCome disse Kierkegaard, "la vita può essere capita solo all'indietro, ma va vissuta in avanti" ... e ciò ha un sapore di nostalgia terribile...
RispondiEliminaA volte vorrei non avere tanti ricordi, tanti posti da ricercare... a volte vorrei non pormi proprio il problema e vivere come un automa o come una persona semplice... e invece io sono 'complicata' :-)
toccante qs tuo pezzo, malinconico e ben calato nella fredda bruma padana
RispondiEliminaMi piace " i compagni di viaggio delle parole". Rende bene la difficoltà della vita....
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