Boulevard Of Broken Dream
(giornata di vento)
Sole e freddo s'insinuano anche tra le case, stamattina. E' una giornata tersa e tagliente, una lama d'aria sottile.
La strada è, ormai, silenziosa. Sembra in quiete.
Si getta la gioia, il dolore, una parte di vita: si getta ciò che non si ha costruito, quello che non si è detto e le parole di troppo.
Eppure, tra i pochi rumori, c'è ancora l'eco distante di un pensiero, di quel salire verso il cielo del nostro essere, tutto sommato, uomini.
Sembra di vedere oltre le poche nuvole, lassù dove l'azzurro diventa nero e il nero stelle.
Quella luce che ci conforta e ci rende un deboli, di fronte alla nostra pochezza, di fronte alla grandezza che siamo incapaci di portare.
E' bello camminare senza incrociare sguardi, ma solo assenze, perdendosi ancora in un attimo di una piccola pace.
Una muta partecipazione delle cose, come se il rispetto che si deve a questo nuovo giorno unisse piano, dolcemente e con grande forza.
Magari è solo un secondo, un infinitesimo attimo che non si vede neanche passare.
Magari lo terremo stretto per gli altri giorni a venire, per le nuove sofferenze, per le grandi e piccole gioie, per il tempo perso e quello guadagnato, per gli sconosciuti e gli Amori che sono sempre infiniti, per chi non ci guarderà più in faccia, chiuso nella sua certezza di avere ragione, e per quella ragione che dobbiamo essere bravi a mettere in discussione.
Magari svanirà e basta, magari saremo sordi.
Ma ci saremo e potremo capire.
Gerd Winner, "New York Wall", 1978, Tate Modern Collection, London.
(giornata di vento)
Sole e freddo s'insinuano anche tra le case, stamattina. E' una giornata tersa e tagliente, una lama d'aria sottile.
La strada è, ormai, silenziosa. Sembra in quiete.
Si getta la gioia, il dolore, una parte di vita: si getta ciò che non si ha costruito, quello che non si è detto e le parole di troppo.
Eppure, tra i pochi rumori, c'è ancora l'eco distante di un pensiero, di quel salire verso il cielo del nostro essere, tutto sommato, uomini.
Sembra di vedere oltre le poche nuvole, lassù dove l'azzurro diventa nero e il nero stelle.
Quella luce che ci conforta e ci rende un deboli, di fronte alla nostra pochezza, di fronte alla grandezza che siamo incapaci di portare.
E' bello camminare senza incrociare sguardi, ma solo assenze, perdendosi ancora in un attimo di una piccola pace.
Una muta partecipazione delle cose, come se il rispetto che si deve a questo nuovo giorno unisse piano, dolcemente e con grande forza.
Magari è solo un secondo, un infinitesimo attimo che non si vede neanche passare.
Magari lo terremo stretto per gli altri giorni a venire, per le nuove sofferenze, per le grandi e piccole gioie, per il tempo perso e quello guadagnato, per gli sconosciuti e gli Amori che sono sempre infiniti, per chi non ci guarderà più in faccia, chiuso nella sua certezza di avere ragione, e per quella ragione che dobbiamo essere bravi a mettere in discussione.
Magari svanirà e basta, magari saremo sordi.
Ma ci saremo e potremo capire.
Gerd Winner, "New York Wall", 1978, Tate Modern Collection, London.
intenso, suggestivo, ti prende piano il silenzio che accompagna le parole e ti vien voglia di tacere e ascoltarne il suono.Dalle mie parti niente è così.Dalle mie parti il rumore è feroce.Dalle mie parti Ginsberg sarebbe impazzito prima urlando di dolore e non avrebbe mai potuto scrivere Urlo.
RispondiEliminaCapita di Domenica. Non ti credere che le città piccole siano ancora diverse: il casino qui è totale...
RispondiEliminaDaniele
io ho paura di gettare parti di vita...è una triste quiete.
RispondiEliminaun bacio
l'importante è avere fede, è sentire...tutto ciò che ci circonda, ogni cosa, impregnandola e impregnandoci della (sua) presenza assenza...
RispondiEliminaMandi, caro Daniele
C.
che bello Daniele, un quadretto delicato..
RispondiElimina(ma pure tu ci hai pensato a scrivere delle cose e pubblicarle?)
buona settimana!
Soreli e frêt si intrighin
RispondiEliminaancje jenfri lis cjasis vuê di matine
E je une zornade nete e uçade,
un curtis di aiar sutîl
La strade aromai cuiete
La gjonde, il dolôr,
une part di vite si butin:
chel che no si à dit
lis peraulis di masse
cualchi revoc lontan di un fastidi
chel montâ su adalt
dal nestri jessi oms
samee di viodi stradilà
des pocjis nulis là che il celest
al devente neri
e il neri stelis.
Chê lûs che nus confuarte
denant dal pôc che o sin
a la grandece che no sin bogns di tignî intor
Ce biel incrosâ mancjancis
Pierdintsi intun lamp di piçule pâs
Une mute procession des piçulecis
Il rispiet che si devi a cheste gnove zornade
Nassude planc cun grande fuarce
in chel marilamp
che no si à il timp di viodi a passâ
Chel lamp lu tignarìn
Strent par patî ancjemò cun lui
Timp pierdût e vuadagnât
Pai scognossûts
Pai amôrs cence padin
Par chei che no nus cjalaran plui in muse
E par chê reson di jessi plui brâfs
A tornâ a scomençâ a discori
Ancje se sorts a une reson sfantade
Ma o sarin alì par cirî di capî.
vedere oltre le nuvole... alla ricerca di un sogno spezzato... forse
RispondiEliminachicca