Su e contro "Twitter", ultimamente, si sono espressi in molti, da Serra a Franzen, con articolate motivazioni sul perchè quei 140 caratteri siano, in qualche maniera, fuorvianti e pericolosi per il pensiero che si vuole esprimere. Più spesso, si è detto che è moda, che è infarcito di sciocchezze (come tutti i "Social Network"), pur essendo divenuto il modo principale per veicolare notizie, spesso molto importanti (e per leggere opinioni che non siano sempre quelle dei soliti). Però l'altro giorno la "Einaudi", casa editrice di livello (e a cui sono personalmente affezionato), ha scritto un "Tweet" citando il Macchiavelli e, per motivi di spazio, ha usato la "k" al posto del "ch". Difesasi dall'ovvia reprimenda giuntale dai suoi "follower", ha scritto che la citazione era letterale, ma la grafia necessaria per lo spazio. Francamente, una stupidata. Già scriviamo male, già leggiamo male, già i nostri ragazzi abbreviano tutto in una maniera a volte veramente orribile, già il mezzo si presta a varie critiche: così facendo si offre il fianco a coloro che ritengono sia impossibile digitare qualcosa di minimamente interessante con così pochi caratteri.
Al di là di tutto, queste storpiature sono deleterie in sè e penso che lo abbiamo capito tutti. Tranne, evidentemente, quelli che pubblicano gli scrittori, ovvero coloro che sanno scrivere. Piccolo, ma brutto segno.
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