Riguardo all'ipocrisia che permea qualsiasi ambito sociale (anche di coloro che ne sono immuni, ammesso che sia possibile), sarebbe interessante vedere da dove proviene. Seppur penso sia innata e difficilmente battibile, non è un'atteggiamento obbligatorio o con cui si nasce e si resta: è più figlio dell'opportunismo, delle situazioni, del modo in cui vogliamo (anzi, non vogliamo) affrontare determinate persone, ad esempio.
Della natura dell'ipocrisia non è compito mio dire. Vedo che essa nasce, nel caso della politica, dal modo che hanno imparato i nostri amministratori di andare verso la gente, di sentire i loro bisogni. Il camaleontismo è opportunità, anche se stride con convinzioni ed idee radicate: se ricordiamo il termine "Cattocomunisti" stiamo dieci secondi a comprendere come si possano unire acqua ed olio.
Il barricamento dei valori enunciati cade, sempre più facilmente, di fronte ai comportamenti reali, ancorché in questi tempi ove ogni cosa è scritta, filmata, twettata (passatela) ed il giornalismo pruriginoso è un "modus" che perfino i più seri professionisti non disdegnano d'abbracciare. E' sempre stato così, però: esempi storici a bizzeffe.
C'è, quindi, qualcosa di nuovo? Assolutamente no. Possiamo pensare che l'ipocrisia si evolve in ragione dell'arretramento dei costumi o, meglio, dell'impunità con cui sono accettati determinati comportamenti, che vengono cassati in pubblico e coccolati in privato. Quel privato che non esiste quasi più e giustamente, almeno per personaggi pubblici.
Senza scordare, sia mai, che vivendo nel calderone della religione più lassista del pianeta si è quasi giustificati o, perlomeno, perdonati con molta facilità. Perchè è senz'altro più comoda la via di una assoluzione celeste che quella della coerenza, che vada a scapito di piaceri facili e di ancor più facili costumi.
Ma sto parlando solo di politica?
Whitney Museum of American Art - Arshile Gorky, The Betrothal, II, 1947.
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