Fare e dire



Il web, mi sa, è ciclico. Tutto torna, a intervalli assolutamente irregolari. Quindi atti a non farsi ricordare: meglio, per fare in modo che si finga d'aver rimosso, quando, in realtà, dal nostro cervello (per chi ne è dotato) non si rimuove proprio nulla. Le interazioni compulsive prendono il volo soprattutto nel caso in cui ci sia di mezzo una guerra, un genocidio. Insomma roba grossa.

Perseverare nel distruggerci è prerogativa umana e questo atto si trasfigura, ora, per via telematica. L'accesso ai contenuti dei  nostri amici, ai giornali, a tutte le informazioni vere o false possibili, ci fa schierare e dare opinioni. Ma resta il fatto che, nel concreto, non ci alziamo dalla sedia. Meglio: magari lo facciamo, ma non essendo parti della "Marvel", ci spingiamo fino al centro città, massimo massimo a qualche chilometro da casa.

Tutto questo è anche comprensibile: non si possono cambiare le cose da soli, che so?, in Ucraina. Di certo potremmo iniziare a capire che Internet ci rivela in maniera istantanea quello che è il mondo attuale. Una presa d'atto di coscienza è già molto: meglio sarebbe concedere anche della serietà e delle azioni concrete. Lì è la vera differenza, lì è l'oltre della digitazione/condivisone/pubblicazione ormai abitudine quotidiana.

Ci si morde la coda di continuo.
Primo.

Jenny Holze, "Truism", 1984, Tate Gallery.

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