Non si chiama amore



Quasi una donna al giorno è vittima di violenza, ogni giorno. Eppure ci sono ancora giornali che creano confusione, sminuendo e addirittura negando un fenomeno sociale gravissimo, da monitorare e al quale bisogna porre rimedio. Il femminicidio è, infatti, una violenza di genere, la volontà di annientare la donna, fisicamente, nel suo suo ruolo sociale e nella sua libertà.

La diffusa narrazione che questo sia amore è un inganno. Una distorsione della realtà. No, non è amore. E' altro: è possesso, è sopraffazione, è un istinto predatorio che spinge l'aggressore a usare la violenza per affermare il proprio potere, il possesso illimitato su una persona che viene ridotta, sminuita ed annientata per renderla un oggetto.

Il caso di Mazara del Vallo è uno dei tanti, un femminicidio efferato. Rosalia è stata massacrata di botte, ha sofferto per tre giorni mentre l'uomo che aveva accanto, che un tempo era stato il compagno della sua vita, ha scatenato tutta la violenza che aveva dentro contro il suo corpo inerme. Un caso limite, l'ennesimo allarme che non dobbiamo sottovalutare.

Chi agisce la violenza però non sempre usa le mani o armi, più spesso utilizza le parole, quelle parole d'odio che tante volte si leggono sui social. Termini dispregiativi, umilianti, aggressivi, che vengono indirizzati proprio alle donne, da "oca" a "gallina" fino a "troia" e "puttana". Lo scopo è sempre lo stesso: riaffermare l'inferiotà della donna, ridurla ad un essere non pensante e da usare.

Alcune donne impegnate in politica sono state derise con bambole gonfiabili, storpiando i loro nomi con volgari allusioni sessuali. Non dovrebbe essere proprio la politica il primo banco di prova per un cambiamento radicale della società? Non dovrebbero essere i rappresentanti del popolo a dare l'esempio? Perchè i ruoli apicali ricoperti da donne sono sempre così pochi?

Si viene, ancora, bombardati quotidianamente da pubblicità, programmi televisivi, film, show, che esaltano il corpo delle donne, mercificandolo come oggetto da usare, da consumare. Alla esaltazione dell'aspetto esteriore si accompagna la svalutazione dell'intelligenza, della preparazione culturale, del carattere, di tutto ciò che distingue la persona-donna.

Così, si privilegia colei che è bellissima ma sa stare un passo indietro rispetto all'uomo, perchè, sarebbe ora di riconoscerlo una volta per tutte, siamo tutti figli di una società patriarcale e cristiana. Un retaggio culturale che ha esaltato l'idea di donna che dovrebbe saper tacere, dedicarsi alla famiglia, stare a casa con i figli, mentre spetterebbe all'uomo il ruolo di "capo".

Quando lo schema si inverte, quando il maschio si accorge che il modello non funziona più, quando vede che l'oggetto del suo potere si allontana e potrebbe affrancarsi vivendo autonomamente la propria vita, allora scatta l'impulso alla sopraffazione. Un impulso che si può limitare alle parole, ma nei casi più gravi, sfocia nella violenza e nel sangue.

E la vittima? Si sente annientata prima di tutto psicologicamente, entra in un loop di confusione e disorientamento. Viene colpevolizzata, perfino dalle altre donne. Quei luoghi comuni "se l'è cercata, poteva pensarci prima" sono una zavorra enorme. Aleggia il pregiudizio e la auto-condanna a sottostare a quella violenza, per questo spesso la vittima rinuncia alla denuncia.

Quante Anna, Maria, Simona, Alessandra, Elena, Francesca, Giovanna hanno deciso di tornare indietro? Quante, spaventate dal giudizio della società, si sono fermate? Quante non hanno avuto neppure l'opportunità economica di liberarsi dalla prigione perché per una donna, soprattutto ad una certa età, è sempre più difficile trovare lavoro e la parità salariale sembra utopia?

E' necessario un cambiamento culturale della società. Il sentire comune deve evolvere, affrancarsi dai beceri retaggi del passato, spezzare le catene dei disvalori. Il cammino verso la parità ed il rispetto deve coinvolgere la collettività, deve andare di pari passo con il rifiuto del razzismo, dell'ignoranza e di ogni forma di intolleranza.

In primis, si deve modificare la narrazione di queste vicende, evitando di negare l'evidenza, affrontando la realtà per come è, senza esprimere giudizi dall'alto di un piedistallo, non colpevolizzare le vittime attribunedo loro la responsabilità di una eventuale provocazione che possa aver scatenato la furia del violento. E' violenza di genere. Non si chiama amore.


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