La giusta distanza




Nel suo film "La giusta distanza" (2007), Carlo Mazzacurati narra la vicenda di un giovane, apprendista giornalista, che non riesce, in merito ad un fatto di cronaca, a mantenere la "giusta distanza" dai fatti, come gli ha suggerito il suo mentore. Ovvero non riesce ad approfondire abbastanza quel che accade per averne una visione imparziale, il più possibile corretta e scevra da opinioni ed idee personali: quello che, nella teoria, ogni giornalista dovrebbe tendere a fare nel suo mestiere.

Ciò che è accaduto e continua a accadere con il "Corona Virus" in Italia può essere portato ad esempio di come questo modo di operare sia, nei fatti, ignorato del tutto o quasi. Da parte di molte testate giornalistiche e di TG d'ogni canale è stato subito un muoversi nelle direzioni più disparate: dapprima per rimanere "sul pezzo" e, passata la fase di picco a livello di notizia, per estendere all'infinito una serie di tematiche, perlopiù allarmiste e con un alto tasso di sensazionalismo, fino a coprire intere giornate di trasmissione.

E' anche un po' il limite, per esempio, dei canali "All News", dove per ventiquattro ore al giorno si trasmette ogni sorta di dettaglio, di accadimento, di vocio per coprire la giornata intera. Reiterando all'infinito le stesse cose (non può accadere qualcosa di clamoroso ogni ora), si finisce con il "caricare" la notizia fino allo spasimo, spesso inserendo note di colore che rendono la narrazione volutamente altisonante, pervasiva, angosciante.
Una estremizzazione indotta per mantenere attento lo spettatore.

Chiaramente è una maniera d'operare affatto corretta e per quanto giornalisti ed opinionisti lo neghino, appare abbastanza chiaro che è un mare in cui a loro piace nuotare. Possiamo comprendere che sia più semplice fare così che mantenere quella distanza di cui sopra: si rischia, magari, la noia o una maniera troppo blanda di porgere le notizie e molte persone amano, inconsciamente o meno, il clamore e la chiacchiera, a discapito di coloro che, invece, vorrebbero leggere o sentire semplicemente ciò che è successo, senza fronzoli.

D'altro canto ognuno può essere un amplificatore dei fatti: basta un account su "Facebook" o su "Twitter" dove riprendere e commentare ogni cosa venga detta, magari distorcendo ulteriormente le cose, caricandole con opinioni personali (cui si ha diritto) e facendo rimbalzare tutto ovunque. Una sorta di cerchio infinito in cui la sconfitta è l'informazione di qualità, quella cui dovrebbero sempre ambire tutti. Sarebbe un freno per un mondo già sovraccarico di input, dove siamo "bombardati" senza sosta, senza tregua di cose da seguire.

Un corto circuito permanente d'attenzione e di sovraccarico mediatico.
E come ogni cosa portata all'eccesso, è un danno.
Cui temiamo non si possa più porre rimedio, se non con la volontà personale di distaccarsi da questa narrazione sbilanciata, reinserendo nel proprio modo di informarsi una quanto mai necessaria dose di distacco e di ragionamento. Cose difficili da fare, ma non impossibili.

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