La pandemia delle parole





In questi giorni, che saranno, nel bene e nel male (purtroppo), memorabili, su "Twitter" sto facendo dei piccoli "meme", usando i volti di famosi attori od artisti musicali: su ognuno di loro scrivo "Siate responsabili". Ho preso la decisione di non abusare dell'argomento "Covid-19" per una precisa scelta personale, che ho già attuato per altri avvenimenti. Non sovraccaricare di parole che in milioni usano il mio spazio personale.

Da quando ci è stata data la possibilità di connettere il nostro mondo virtuale con quello di tutto il pianeta, abbiamo lasciato libero sfogo al nostro desiderio di comunicare, discutere, inveire, suggerire, insultare, fare battute o semplicemente dire la nostra: su tutto. Nessuno è uscito da questa sorta di trappola declamatoria e la mia non è una reprimenda, perché se lo fosse dovrei essere messo in cima alla lista.

E' molto più semplicemente la constatazione della mutazione irreversibile della comunicazione, che sia "uno a uno" o con migliaia di altri individui. Il peso di tutto questo sta nei termini che adottiamo, nelle parole che adoperiamo, con gli inevitabili errori dovuti all'impulsività, all'umore, alle idee politiche. Più volte sono apparsi decaloghi di "netiquette" per cercare di costruire un vocabolario di buone norme per scrivere senza uscire dal famoso seminato.

Disattesi, il più delle volte e persino discutibili , in alcune delle loro affermazioni. Ma andando oltre l'ovvio, è in momenti come questi che si dovrebbe discernerne con compiutezza l'uso che facciamo dei vocaboli. Non credo sia necessario dire quali sono quelli "buoni" e quelli "cattivi". Chiunque può comprendere che in situazioni eccezionali il proprio dovere è quello di dotarsi di una autoregolamentazione che aiuti il progredire di uno stato di normalità. Non il contrario.

Soppesare ciò che si scrive, i concetti da veicolare, evitando il sovrapporsi ridonante di eguali concetti, cercando, nel contempo, di non veicolare "fake news" o dicerie, ci può distinguere da un marasma indifferenziato che raggiunge il solo scopo di allargare in maniera disordinata la pesantezza di queste giornate. Tutti, senza distinzioni, siamo chiamati a quella responsabilità di cui sopra.

Nessuno può sentirsi al di sopra degli altri. Ce lo insegna proprio ciò che sta accadendo. Questi fatti livellano ogni distinzione sociale o verbale: dire "...siamo tutti nella stessa barca", anche visivamente vale, eccome. Quindi, banalmente, o remiamo tutti consapevolmente delle direzione giusta o rischiamo di girare in tondo senza costrutto. Ed è adesso che dobbiamo costruire, non demolire. Semplice, più di quel che appare.

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