Sorretti dalle spallucce.


Se leggete lo splendido post a cura di Pietro del Blog "Militantduquotidiem", riportato da "Giap", vi calerete in una delle lotte vere che quotidianamente vengono portate avanti da lavoratrici e lavoratori italiani e stranieri in questo martoriato ed evanescente Paese, in cui l'economia "di mercato", in cui i padroni (questo sono) spadroneggiano come e più di un prima che non è mai tramontato

Un'espressione usata da Pietro mi ha colpito in modo particolare: "L'omertosa apatia del piccolo trambusto quotidiano".
Felicissima intuizione linguistica che riesce a racchiudere in sé uno dei crismi su cui poggia la fertile e vigorosa baldanza del liberismo nostrano, quello che toglie i diritti ai lavoratori e non solo abolendo leggi, ma riducendo il mondo del lavoro, soprattutto quello operaio (ci sono, ci sono: non fate finta di niente) a mera paccottiglia senza valore, neanche umano.

E' quel sentire assai comune che porta alla coltivazione del famoso orticello, dalla cui staccionata sono lasciati fuori tutti i ragionamenti non adatti alla crescita del proprio benessere, della propria fetta intoccabile di piccoli e spesso inutili "privilegi", che, di solito, si formano sulla cenere dei diritti negati ad altri. Ma essi, stando al di là della staccionata, sono chiacchiericcio confuso. Folate di basso vento da terra.

E' l'oltre, la calma pigrizia di sta con il sedere al caldo (o che pensa di averlo coperto) e che può, tranquillamente, silenziosamente, fregarsene di vertenze durissime come quella di cui parla il post, della "Italpizza" e dei suo dannati. Questo sono i lavoratori di quel gioiello da preservare della "cultura" del lavoro, della tradizione più autentica e genuina della laboriosità illuminata della parte sana del Paese. Peccato che, come in ogni famiglia, le magagne ci sono, enormi.

Ma questo è corollario. L'Italia vive su questa "omertosa apatia": possiamo dire che si regge sulle spallucce, quel gesto del corpo che sta a significare "Che me ne frega?". Sì, ovviamente sono dalla parte di chi ha problemi, sono sinceramente preoccupato dalla condizione di milioni di concittadini costretti praticamente alla povertà pur lavorando e mi indigno fortemente (che è colpa del Governo, si sappia: sempre e comunque.)

Però, fermi: cinque minuti, in pausa caffè. Stasera apericena e c'è la partita in TV (a pagamento). Nessuno è innocente, in un gioco al massacro che vede soccombere giornalmente centinaia di famiglie: nella cosiddetta società del benstare, del "Ci sarà chi se ne preoccupa", di coloro che sanno cosa devono fare gli altri, ma che personalmente ha le mani legate, ma lo sguardo basso di comprensiva partecipazione emotiva.

In piazza, davanti alle fabbriche, a mandare messaggi forti, mettendoci il corpo, la faccia, la pelle possono scendere sempre gli altri di cui sopra. Bravi, ma mi raccomando: senza fare troppo casino, che ci si infastidisce. Ben attenti, e guai a dirlo che ci si offende, a ribadire che c'è chi deve risolvere le cose: a modino, con quella pragmatica calma che non dia noia al superiore, che certe discorsi non si fanno. Noi si sta bene, ce lo siamo guadagnato.

In Friulano si direbbe "Lasse stà" (lascia stare). E' la resa incondizionata al complice modus operandi di tutta quella genia imprenditoriale che scrive i "Codici etici" delle aziende e poi chiama la questura, che prontamente corre, se ritiene che qualche manganellata al posto giusto sia un metodo meno aulico, ma più efficace di far filare le cose nella maniera giusta. Che, guarda caso, è sempre e solo la loro.
Tanto, parliamoci chiaro: sono molti di più quelli cui non frega nulla.
E si sa che la maggioranza sta. 



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