Vite sospese

 

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L'approvazione della Legge n. 300 del 1970, lo Statuto dei Lavoratori, fu una grande conquista, ottenuta dopo oltre venti anni di lotte durissime. Scioperi e manifestazioni venivano repressi con l'uso della forza e, nelle fabbriche, gli operai politicamente attivi venivano schedati e licenziati alla prima occasione utile. Si poneva uno scudo a tutela dei lavoratori, un progetto che era stato sostenuto dai sindacati e da tutti coloro che chiedevano il riconoscimento dei diritti nel mondo del lavoro.

Sono passati cinquanta anni e sembra che quei giorni di riscatto siano solo un ricordo lontano. Lo Statuto dei Lavoratori è stato eroso e svuotato. Negli anni settanta vigeva il concetto di sicurezza occupazionale. Essere assunti a tempo indeterminato era una garanzia per conservare il lavoro presso lo stesso datore, con conservazione delle mansioni e carriera, basata su anzianità e i meriti. Già negli anni ottanta la situazione, però, stava cambiando. Si faceva strada il primo step di flessibilità.

La stabilità veniva meno, non si puntava più alla sicurezza del posto e delle mansioni assegnate, ma alla sicurezza nel mercato del lavoro: la possibilità di cambiare datore pur conservando l'aspettativa di rimanere occupati. In sintesi, si mutuava la difesa del posto di lavoro con la possibilità di essere utilmente collocati nel mercato del lavoro. Politiche occupazionali e di sostegno, aggiornamento dei disoccupati e degli inoccupati, venivano teoricamente incrementate.

Il piatto della bilancia finiva sempre più per pendere dalla parte degli imprenditori, i quali vedevano con entusiasmo il lavoratore flessibile, considerandolo sottomesso ai propri obiettivi. Per incrementare i fattori di competitività dell'impresa sono fondamentali una riduzione del costo del lavoro e la crescita della produttività dell'impresa. Nellaa valutazione strettamente economica la flessibilità diventava un vantaggio notevole. Quali le conseguenze sui lavoratori?

Dal punto di vista del prestatore di lavoro flessibilità vuol dire precarietà ed insicurezza. Si è giunti a questa condizione ampliando il ventaglio delle forme contrattuali a termine e con la progressiva deregolamentazione e destandardizzazione dei percorsi professionali. Che il prestatore sia il soggetto più debole del rapporto spesso non viene tenuto in considerazione, gli si offre una posizione instabile, temporanea, soggetta a revoca, incerta e senza garanzia di durata.

Le conseguenze di questa situazione si manifestano a livello esistenziale, perchè viene meno la possibilità di progettare e prevedere il futuro. Sul luogo di lavoro, in mancanza di stabilità, non si creano empatia relazionale e integrazione sociale dell'individuo. La persona subisce economicamente la discontinuità, se non addirittura l'assenza, di misure retributive di carattere compensativo e professionalmente le esperienze lavorative non accrescono il suo curriculum.

In assenza di un contratto a tempo pieno ed indeterminato, ormai per troppi divenuto un sogno, della subordinazione ad un solo datore, della integrazione in una organizzazione, della piena protezione legislativa e contrattuale, si subisce l'esclusione dai sistemi di tutela collettiva: indennità per malattia, infortuni e disoccupazione. E laddove siano riconosciuti, sono purtroppo esigui. Senza difese dal rischio di disparità salariale, si giunge alla disuguaglianza sociale.

Vessato da queste condizioni, il lavoratore subisce un vero e proprio logoramento. In molti casi, per risparmiare, si ricorre alla esternalizzazione delle mansioni, annullando la valorizzazione e la fidelizzazione delle risorse umane. Le persone si trovano private della continuità formale e sostanziale della condizione sociale di occupato, subiscono l'equilibrio precario della situazione lavorativa o la disoccupazione. Questo produce numerosi riflessi negativi.

Troppi vivono nello stress, sono costretti dalle condizioni economiche o psicologiche all'isolamento sociale, fino alla depressione, all'ansia cronica, agli attacchi di panico. Si incrinano i rapporti personali e familiari. Senza speranza e prospettive per il futuro si riducono le nascite. Prevale l'individualismo, ognuno cerca di coltivare il proprio, pur misero, orticello e diventa sempre più difficile unirsi per difendere i diritti collettivi dei lavoratori.

La deregolamentazione, i minori vincoli al licenziamento ed alla assunzione, a lungo termine non sono realmente vantaggiosi per le imprese e tantomeno per lo stato. La politica dovrebbe fare pressione su tutte le categorie datoriali affinchè si garantisca la sicurezza dell'occupazione e si ripristinino le forme di tutela del lavoro costituzionalmente sancite. Un percorso che si manifesta tanto più urgente con il profilarsi di una crisi senza precedenti e la possibile ondata di malcontento popolare.

Una società che si voglia definire civile, non può accettare che vi siano persone sottoposte a tutto questo in nome del profitto.





 


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